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VALTELLINA NEWS. Italiani, popolo di santi, poeti, navigatori .... e di furbi

7 Febbraio 2020
 Commenti disabilitati su VALTELLINA NEWS. Italiani, popolo di santi, poeti, navigatori …. e di furbi
7 Febbraio 2020, Commenti disabilitati su VALTELLINA NEWS. Italiani, popolo di santi, poeti, navigatori …. e di furbi

La “Giornata contro il bullismo e il cyberbullismo” può essere un’occasione per riflettere sulle nostre carenze e magari stimolarci a migliorare.

Per iniziativa del Miur (Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca) oggi, Venerdì 7 Febbraio si celebra la “Giornata contro il bullismo e il cyberbullismo” e martedì 11 Febbraio la “Giornata mondiale per la sicurezza in Rete”, Sid (“Safer internet day”).

L’obiettivo è di richiamare l’attenzione sul bullismo e sui pericoli del Web in tutte le scuole di ogni ordine e grado in modo da coinvolgere docenti, studenti e soprattutto genitori e famiglie. Quest’anno lo slogan scelto per il Sid è: “Insieme per un miglior utilizzo di Internet” (“Together for a better internet”).

Una ricerca condotta nel 2019 da Eures, portale europeo che indaga sulla mobilità professionale, ha evidenziato che «il fenomeno del bullismo e cyberbullismo interessa 9 giovani su 10. Su un campione di 1.022 studenti delle scuole secondarie superiori di Roma, il 66,9% dei giovani è stato almeno una volta vittima di bullismo e l’81,3% è stato spettatore».

Purtroppo l’indagine conferma che la scuola è il «principale luogo dove si sviluppano episodi di violenza. Il 57,3% delle vittime afferma infatti di aver subito tali atti all’interno della classe ed il 34,9% all’interno degli istituti». La questione è più seria di quanto non appaia dalle ricerche sul campo perché è generalizzata.

Il bullismo è diffuso non solo nel nostro Paese, ma nell’intera Europa. La violenza proposta e divulgata dai social network risulta ancor più devastante di quella presentata nei film e nelle fiction televisive. Per anni s’è discusso sulle pellicole come “Arancia meccanica” del regista Stanley Kubrick, uscito in Italia nel 1971, in cui l’esasperata violenza è stata oggetto delle più benevole critiche e contrabbandata come antidoto alle gesta criminali e alle sopraffazioni immotivate.

Sociologi, psicologi, antropologi si sono affannati per spiegare che se un giovane era esposto a certe crude immagini di violenza, come razione ad esse avrebbe interiorizzato comportamenti pacifici diventando, nel tempo, un adulto responsabile e certamente non aggressivo.

Peccato che, tanto per citare uno dei tanti casi verificatisi dopo la proiezione dal “capolavoro” di Kubrick, nel 1975, a San Felice Circeo, si registrò uno dei più efferati delitti – il massacro del Circeo – con atti incredibilmente simili a quelli compiuti dalla gang protagonista del film.

C’è una oggettiva responsabilità di registi, scrittori, produttori, giornalisti, opinionisti, pubblicitari, cantautori, docenti e uomini della comunicazione in generale nel tollerare e persino giustificare comportamenti oggettivamente negativi che dovrebbero essere solo sanzionati con pene severissime.

Troppo comodo accusare sempre la società o il sistema che favorirebbero l’azione delittuosa del singolo. Eh no, ci sono milioni di persone che nascono in condizioni di disagio, di povertà estrema, d’indigenza in quartieri degradati nelle periferie di grandi città; persone che dalla vita hanno (o hanno avuto) davvero poco, eppure non delinquono, non si macchiano di delitti abominevoli.

Al contrario le cronache ci dicono che molti assassini crescono in contesti di diffuso benessere. Molti prepotenti, spacconi, bulli sono rampolli di famiglie altolocate, spesso appartenenti all’alta borghesia. Quando si compiono angherie su soggetti più deboli la tolleranza deve essere zero.

Se a pagare non può essere il minore che compie un gesto sconsiderato, a rispondere deve essere chiamato chi esercita la patria potestà. In Gran Bretagna, Paese in cui la democrazia non fa certo difetto, la Polizia spesso promuove incontri con studenti invitandoli, nelle carceri, ad osservare il lavoro dei detenuti.

L’obiettivo è di aiutarli a riflettere su ciò che potrebbe accadere anche a loro qualora si macchiassero di crimini puniti con la detenzione. È un’intelligente formula di educazione, una specie di ammonimento preventivo che dovrebbe essere introdotto anche in Italia.

Per passare dalla terza media al primo anno di media superiore ogni alunno dovrebbe, obbligatoriamente, ottenere un attestato di avvenuta visita d’un carcere e di partecipazione ad una lezione (tenuta da un competente psicologo) che renda ragione dell’utilità di tale visita.

Analogo attestato comprovante la visita in un ospedale (un reparto di oncologia? un pronto soccorso?) dovrebbe poi essere ottenuto da tutti i cittadini italiani al compimento del sedicesimo anno d’età. Toccare con mano la sofferenza, anche quella degli altri, è tremendamente istruttivo e spesso aiuta a capire dove sta il vero bene e dove l’inutile di cui liberarsi.

Ci dicono alcuni economisti che occorrerebbe un forte scossone, come l’immissione di 100 miliardi di euro, per ridare slancio produttivo al nostro Paese.

Bene, allora diamo un altrettanto forte scossone alla nostra società per ridare vigore a valori come sacrificio, rispetto delle regole, uso corretto dei beni (a cominciare dagli strumenti della comunicazione), stima della fede religiosa, altruismo, con un’avvertenza da non dimenticare: onorare l’intelligenza e aborrire la furbizia.

È destinata a perire una comunità di furbi dove nessuno mai risponde di ciò che fa.

Fonte

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