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Eures: stabile il numero dei femminicidi nel 2020, effetto lockdown sulle vittime conviventi (+10,2%)

25 Novembre 2020
 Commenti disabilitati su Eures: stabile il numero dei femminicidi nel 2020, effetto lockdown sulle vittime conviventi (+10,2%)
25 Novembre 2020, Commenti disabilitati su Eures: stabile il numero dei femminicidi nel 2020, effetto lockdown sulle vittime conviventi (+10,2%)

Per Istat aumentano le chiamate al 1522, soprattutto in relazione ai mesi dell’isolamento – di Simona Rossitto

Resta stabile il numero dei femmicidi in Italia, cioè delle uccisioni di donne commesse in nome di una cultura di matrice patriacarle. Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Eures, in Italia, nei 10 mesi del 2020 si contano 81 femminicidi (da 85 dello stesso periodo del 2019). Sommando anche i dati degli omicidi di donne legati alla criminalità comune o a contesti di vicinato, le vittime salgono a 91, ancora una ogni tre giorni. Emerge, dunque, una diminuzione signidicativa soltanto delle vittime legateaella criminalità comune (da 14 ad appena 3 nel periodo gennaio-ottobre 2020), mentre risulta sostanzialmente stabile il numero dei femminicidi familiari (da 85 a 81) e, all’interno di questi, il numero dei femminicidi di coppia (56 in entrambi i periodi. Aumentano, infine, le donne uccise nel contesto di vicinato (da 0 a 4).

Due nuovi femminicidi in Italia nel giro di 24 ore
Proprio mentre si celebra la giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne, si sono consumati, nel giro di 24 ore, due nuovi femminicidi. Due donne sono state uccise a coltellate dai loro partner, nel Veneto e in Calabria. Un uomo di 40 anni ha ucciso la moglie a Cadoneghe, in provincia di Padova, e una donna di 51 anni è stata uccisa a Stalettì, sulla costa ionica catanzarese. Nel primo caso è stato l’omicida , Jennati Abdefettah, un magazzinieri marocchino di 40 anni, a chiamare i carabinieri, mentre nel secondo è stato fermato un 36enne di Badolato che, secondo i responsabili dell’inchiesta, aveva una relazione extraconiugale con la vittima.

Gli effetti del lockdown e i rischi della convivenza
Il lockdown ha inciso negativamente sui femminicidi. Uno degli aspetti più rilevanti nell’analisi Eures riguarda la “correlazione tra convivenza e rischio omicidiario”. Premesso che il femminicidio è un reato commesso nella maggior parte dei casi all’interno delle mura domestiche, e segnatamente all’interno della coppia, il lockdown ha fortemente modificato i profili di rischio del fenomeno, aumentando quello nei rapporti di convivenza e riducendolo negli altri casi. In valori assoluti, nel confronto tra i dieci mesi del 2019 e il medesimo periodo del 2020, il numero dei femminicidi familiari con vittime conviventi sale da 49 a 54 (+10,2%), mentre contestualmente scende da 36 a 26 quello delle vittime non conviventi (-27,8%).

Istat: chiamate al 1522 superano quelle degli anni precedenti
Nel 2020, complice anche la pandemia, si è registrato un incremento di telefonate al 1522, il numero verde del Dipartimento per le Pari opportunità attivato per le donne vittime di violenza e stalking. Secondo gli ultimi dati Istat, diffusi in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, le chiamate valide, al 30 ottobre scorso, hanno raggiunto quota 26.477, superando in 10 mesi i livelli degli anni precedenti (in tutto il 2019 se ne contano 21.290) . Il picco è stato raggiunto nei mesi del lockdown, quando le donne vittime si sono ritrovate, a causa dell’emergenza sanitaria, costrette per un lungo periodo in casa con gli uomini maltrattanti. Lo raccontano i numeri: dal primo marzo a metà aprile si sono contate 5.031 telefonate (+73% in più rispetto allo stesso periodo nel 2019).

Autori della violenza sono soprattutto partner, ex o familiari
E’ da dire che l’aumento delle chiamate al 1522 è legato a vari fattori, non riflette solo l’incremento della violenza stessa, ma anche la maggiore conoscenza dello strumento per chiedere aiuto, grazie anche alle campagne promozionali incrementate proprio in occasione della pandemia, e la maggiore consapevolezza delle donne sulla possibilità di chiedere aiuto.
Nella maggior parte dei casi (più del 90%), a chiamare sono le persone vittime. Altre richieste arrivano da parenti, amici e dagli operatori. Nell’ambito familiare, a segnalare la violenza, sono soprattutto i genitori delle vittime (22,3% nel 2020), seguiti dai figli (15,4%) e dai fratelli o le sorelle (11,3%). Gli autori sono soprattutto il partner attuale (nel 58,4% dei casi), l’ex partner (15,3%) e un familiare, come un genitore a un figlio (18,8%).

Dalla paura di morire ai timori per l’incolumità dei familiari
L’Istat traccia un quadro anche delle conseguenze che la violenza provoca sulle vittime. Le donne hanno innanzitutto paura per la propria incolumità (34,1% nel 2020), provano un forte stato di soggezione (23,6%) e ansia (19,6%). A tutto ciò si aggiungono i timori per l’incolumità dei propri cari (4,7%) e la paura della morte (4,4%). Il 7% delle vittime, invece, non teme un pericolo imminente.

In aumento il fenomeno della violenza assistita
Le conseguenze, purtroppo, non sono solo per le vittime e spesso sono coinvolti i minori che diventano vittime di violenza assistita. Quasi il 70% delle donne che subiscono violenza ha figli, e a volte sono proprio questi ultmi che trovano il coraggio di chiamare il 1522. Il 30,7% delle donne vittime ha figli minori, un dato in diminuzione nel 2020, anche se l’elevato numero di chiamate interrotte durante l’anno in corso anno ha generato un alto numero di risposte mancanti.
Ne consegue che la violenza assistita è un fenomeno diffuso, nel 48% dei casi i figli hanno assistito alla violenza e nel 10% l’hanno subita loro stessi. Come conseguenza, circa il 50% ha mostrato inquietudine, il 10% aggressività e in una percentuale simile hanno assunto comportamenti tipici degli adulti, ribaltando i ruoli e accudendo loro i genitori. Meno frequenti, invece, sono i disturbi dell’alimentazione e del sonno.

In aumento le case rifugio, 0,04 per 10mila abitanti
L’Istat, infine, che di recente aveva già pubblicato i dati sui centri anti violenza (sono 302 quelli certificati e vi hanno fatto accesso nel 2018 circa 50mila donne), ha scattato una fotografia anche sulla situazione delle case rifugio, strutture dedicate, a indirizzo segreto dove le donne e i loro bambini trovano alloggio. A fine 2018 ne risultano attive 272, in aumento rispetto alle 232 registrate nel 2017. Si tratta di 0,04 case per 10mila abitanti.

La metà delle donne conclude il percorso di uscita dalla violenza
Quasi la totalità delle Case Rifugio (il 95,9%) prevede criteri di accesso per le donne vittime di violenza e il 72,1% ne prevede per l’accesso dei figli. Oltre il 95% delle case che hanno criteri di esclusione non accoglie le donne con disagio psichiatrico e/o non autosufficienza. Accoglienza negata anche per quelle che abusano di sostanze stupefacenti o psicotrope (94,8%) e per le vittime di tratta o prostitute (45,1%). L’essere senza fissa dimora, senza permesso di soggiorno o in fase avanzata di gravidanza, sono meno frequentemente criteri di esclusione. Il 27,5% delle case non prevede limitazioni di accoglienza dei figli mentre il 19% le prevede legandole all’età dei minori, a prescindere che siano maschi o femmine. In altri casi i figli maschi vengono accolti solo se minori di anni 14 anni.
Guardando all’esito della permanenza nelle case rifugio, la metà delle donne nel 2018 ha concluso il percorso di uscita dalla violenza e il 7,8% ha lasciato la casa per conclusione del percorso di ospitalità, facendo intravedere una conclusione positiva per circa 6 donne su 10. Il 21,8% delle ospiti ha lasciato la Casa Rifugio perché ha abbandonato il percorso (9,8%) o perché è ritornata dal maltrattante (12%).

Fonte

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